Accoglienza e dialogo sono frutto del buon senso
L’EDITORIALE
“Walter ci ha detto di aver ricevuto moltissime chiamate… Nadiya invece ha paura per i tempi di questa guerra”
di Antonio Lillo
Dopo che si è saputo che due amici di Cisternino – Nadiya Yamnych e Walter Trento, che abbiamo intervistato – erano accorsi a prelevare alcune donne e bambini dal confine ucraino per portarli al sicuro in Italia, è partita una nobile gara all’aiuto e all’accoglienza anche dai nostri concittadini. Avendo condiviso la notizia, in tanti, commossi dal loro gesto, ci hanno contattati per chiederci come dare una mano, come offrire cibo, denaro, accoglienza. Qualcuno ha messo a disposizione la propria casa. Walter ci ha detto di aver ricevuto moltissime chiamate con aiuti che per lui sono sufficienti. Ma ha aggiunto che questo nostro altruismo non andrà sprecato perché, se il conflitto continua, arriveranno altri profughi.
Altre persone verranno spinte ad abbandonare le loro case, la patria, e arriveranno anche nel nostro paese, dove avranno bisogno di aiuto, di tutto l’aiuto che potremo dare. Quindi sarebbe meglio organizzarsi, coordinarsi già da ora. Non aiutarli in maniera casuale, affidandosi al buon cuore di alcuni, ma creare un gruppo solo, con un centro che diriga gli eventuali volontari per non disperderli. Nadiya invece ha paura per i tempi di questa guerra, perché sottolinea come ci vuol poco a trasformare lo spirito di accoglienza in fastidio.
Una cosa è aiutare qualcuno che sul momento ha bisogno, un’altra è se questo qualcuno non può tornare a casa e deve fermarsi qui, occupare spazio, risorse. Lì partono le recriminazioni, la memoria diventa labile. “Chi sono questi? Cosa sono venuti a fare qui? Ci rubano il pane, il lavoro, in un periodo di crisi come questo!” Le abbiamo già sentite queste frasi. Sono facilissime da pensare, basta un attimo di distrazione, di nervosismo, e subito ti ritrovi dall’altra parte, quella di chi dice: “Che me ne frega di loro? Basta che sto bene io!” Saremo bravi a evitarlo? Noi speriamo di sì. E aggiungiamo che il mondo, oggi, ha ancora più bisogno di comprensione che di solidarietà. Perché non tutti possono dare, ma anche cercare di capire gli altri, ascoltarli, offrire una parola gentile, un po’ di pazienza, può fare la differenza. Non lo diciamo noi, è scritto nel Vangelo questo, e a ben guardare in qualsiasi testo sacro. È frutto del buon senso.
E sarebbe bello utilizzare questa tragedia per guardarsi intorno e rendersi conto di come è cambiato il nostro paese negli ultimi vent’anni, di quanti stranieri, oltre al popolo ucraino, sono arrivati, vivono e lavorano qui. Sarebbe bello pensare a queste diversità non soltanto quando c’è un’emergenza umanitaria, ma come espressione di un mondo che muta – nel bene e nel male – e cambiando coinvolge anche noi, che ci crediamo distanti. Ci chiede di partecipare a questo movimento. Ma se non riusciamo a capirci fra di noi, che parliamo la stessa lingua, come faremo ad aprire un dialogo con persone che arrivano da un altro paese e che parlano una lingua diversa?
[foto in evidenza di Nùevù Studio Design]
[Editoriale pubblicato sulla rivista Agorà, numero Marzo 2022]