A proposito della Rivista Locorotondo

L’INTERVISTA

Una chiacchierata con il direttore Antonio Lillo

di Zelda Cervellera

 

È da poco uscito, con finanziamento della BCC Locorotondo, il n. 47 di Locorotondo, rivista che per quasi due anni, dopo la morte del suo direttore, Franco Basile, ha cessato le pubblicazioni, rischiando di scomparire insieme a lui. Dopo tale silenzio, nell’autunno passato, la Banca ha affidato la direzione della rivista ad Antonio Lillo, già presidente di Pietre Vive. Così a fine marzo, durante il periodo pasquale, è uscito un numero monografico, il 46, che ricostruiva la storia di Franco Basile e le origini della rivista. Con l’uscita del secondo numero a sua firma, abbiamo intervistato Antonio Lillo su come intende strutturare il nuovo corso di Locorotondo.

Quando Dino Crovace mi ha comunicato che mi affidavano l’incarico, sapevo bene che Locorotondo aveva alle spalle una storia abbastanza importante. Quindi non ho mai pensato di far rivoluzioni, anzi trovavo che fosse irrispettoso stravolgerla, rinnegando quanto era stato già fatto. Il mio, pertanto, è da considerarsi un lavoro in continuità con quanto già fatto, con una rinfrescata necessaria sul piano grafico e un tentativo di dare maggiore coesione interna ai contenuti, pur nella pluralità delle voci. Motivo per cui, in futuro, vorrei puntare molto di più sui numeri monografici. Altra cosa importante per me è il linguaggio. Non è una rivista universitaria, ma divulgativa, quindi ritengo sia fondamentale, nei limiti del possibile, utilizzare un linguaggio chiaro, comprensibile.

Hai intenzione di coinvolgere nuovi collaboratori, magari fra i più giovani?

“Sì, intendo pian piano avvalermi di nuove voci. All’inizio mi sono mosso con discrezione, ma non per chiusura verso i più giovani, quanto piuttosto per recuperare, dopo due anni di silenzio, quel filo di continuità che andava ricostruito, e poi anche per riuscire a entrare io stesso in un discorso redazionale che non conoscevo, di cui non facevo parte. Volevo inoltre provare a vedere se era possibile riuscire a recuperare con la rivista alcuni autori che se ne erano allontanati, anche considerando che, essendo finanziata, ha la possibilità di aggirare problemi economici che sono comuni a tutte le pubblicazioni di ricerca, provare a ricostruire un luogo di incontro che centralizzasse le idee e le voci, invece di disperderle nel solito campanilismo”.

E ci sei riuscito?

“Non è così facile come può sembrare a parole. Ci proviamo”.

Il tuo lavoro come si svolge? Sei condizionato nelle tue scelte?

“No, condizionato no. Alcune cose posso farle ed altre no, mi è stato detto subito, ma nel complesso ho abbastanza campo libero. Preciso che io mi occupo quasi esclusivamente del lavoro redazionale della rivista. Con la redazione ci incontriamo periodicamente per discutere i vari contributi e poi ci si dà delle scadenze di consegna. Quando arriva il materiale lo leggiamo con Luca Gianfrate, che fa parte del comitato redazionale, nel caso serva ne discutiamo con l’autore, e poi impagino il numero e lo mando in stampa. Del resto si occupa Grafica Meridionale”.

Quali sono i programmi futuri per la rivista? E con che cadenza uscirà?

“Quest’anno sono usciti tre numeri, con il monografico su Franco, ma la rivista rimarrà semestrale, per cui ci aspetta ancora un numero a Natale, prima di rientrare nella norma. Poi se chiedi a me, io farei un numero unico all’anno, magari più corposo e tutto a colori. In questo caso, però, non decido io e mi attengo alle disposizioni ricevute dalla Banca, che è di fatto l’editrice della rivista. Per il futuro, l’urgenza rimane digitalizzare tutti i vecchi numeri e metterli online, in modo che non si disperda un lavoro trentennale. Devo dire che in questo caso, l’assenza di una Biblioteca pesa parecchio. Per il resto abbiamo più o meno in mente i temi di cui ci occuperemo nei prossimi tre numeri della rivista, quindi per i prossimi due anni, anche se una cosa è pensarli è un’altra è scriverli. Il resto si vedrà strada facendo o, come diceva mio nonno, Dio volendo”.

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