Ricordando la storica nevicata del ’56 con le immagini da Locorotondo | FOTO

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Le bellissime foto di quel 2 febbraio 1956 a Locorotondo dall’archivio storico di Mario Gianfrate…










 

 

 

“La nevicata del ’56” è un ricordo particolarmente vivido nella storia italiana. Tanto da essere spesso rievocato nei racconti degli anziani o basti pensare alla menzione speciale nel titolo di una sublime canzone interpretata da Mia Martini, scritta da Carla Vistarini e Franco Califano (musica di Massimo Cantini e Luigi Lopez).

Oggi 2 febbraio ricorre l’anniversario dall’inizio di quella nevicata storica del lontano 1956. A quel tempo la copiosa nevicata cadde per circa venti giorni, imbiancando gran parte dell’Italia fra cui la Puglia con temperature che scesero tra i -3° e i -7°. Così è riportato nei nostri archivi storici.

Grazie all’archivio storico di Mario Gianfrate possiamo ammirare le foto risalenti alla Locorotondo innevata di quel febbraio ’56.

“Nella mia collezione di foto, conservo e voglio proporre anche quelle della nevicata del ’56 a Locorotondo. La cittadina rimase isolata per un mese, finirono le scorte e i rifornimenti; sul campo sportivo, dove era stata disegnata una grande croce, gli elicotteri lanciavano medicinali e provviste. I ragazzi dell’Azione Cattolica si davano molto da fare per aiutare i malati ed anche per trasportare le bare che, in un primo momento, erano state sotterraneo nella neve”. Dal libro M’arrecorde di Mario Gianfrate, lavoro di ricerca realizzato da Maria Rosa Scialpi.

Dal progetto Perle di Memoria, tratto da Scampoli di Ricordi n.1, scrive Gino Mutinati: “Locorotondo rimase isolata per un mese ed oltre. Le uniche notizie le avevamo dalla radio (non avevamo la televisione); apprendevamo che era stata disegnata una croce sul campo sportivo e l’elicottero calava medicinali e materiale di ogni genere. Non avevamo telefono, nè lo avevano alle nostre case.

Dopo oltre due settimane di questo stato, eravamo preoccupati, anche perchè era finita la pasta che Linuccio portava da casa e le polpette di Nonna Graziella, che portavo io (il pranzo, fisso, era costituito da pasta col sugo di polpette e fettine di cavallo arrostite sul gas di città). Avevamo, in due, 500 lire (allora avevano un valore notevole); spendemmo tutto acquistando sigarette e fiammiferi (per mio padre), carne, pasta e quant’altro.

Con lo zaino così predisposto, prendemmo il treno per Fasano (la Sud-Est era bloccata); giunti alla stazione di Fasano, apprendemmo che neppure la corriera (Di Tano) era in servizio. A piedi, quindi, percorremmo, nella neve, il tratto dalla stazione di Fasano a Locorotondo, ove giungemmo nel primo pomeriggio, affaticatissimi, quanto convinti di essere accolti come eroi. Giunti nei pressi dell’ospedale, vedemmo la figura di don Ciccio PANELLA (indimenticabile medico condotto) il quale, a nostra preoccupata richiesta, ci disse, spezzando ogni nostra immaginazione, che stavano come beati porci (il mulino Sampietro, ov’è ora la casa rurale, era pieno di farina ed il piazzale antistante pieno di camion di grano, bloccati; il deposito pluricomunale di don Carletto, era stato appena rifornito di sale e tabacchi e non aveva potuto effettuare la distribuzione a motivo del blocco neve; giù a Sant’Anna era bloccato il camion di bombole di pibigas dirette a Ciccio “Zuliddo”).

I giorni successivi, con i volontari dell’Azione Cattolica, ci dedicammo a prelevare malati dalle campagne, ed anche a trascinare qualche bara (nelle contrade più lontane ed inaccessibili, qualcuno era stato costretto a conservare il cadavere sotto la neve, in attesa che mest Peppe Grassi riuscisse a farvi arrivare la bara). Per la vegetazione arborea, fu un vero disastro. Gli olivi ne hanno risentito per un quarantennio”.

anto.penta

[Foto di Mario Gianfrate]









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