Tre ragazze e una storia di amicizia

IL RICORDO

Le testimonianze di Annamaria Palmisano e Rosanna Bagnardi in ricordo della prof. Liliana Venza

 

Domenica 17 aprile è venuta a mancare la professoressa Liliana Venza. La professoressa Venza ha insegnato per molti anni alla scuola media Oliva di Locorotondo ed era molto stimata dai suoi colleghi e dai suoi alunni.

Di seguito le testimonianze delle amiche Annamaria Palmisano e Rosanna Bagnardi.

 

Io e Liliana? Sì, siamo state colleghe; nei primi anni abbiamo insegnato nella stessa provincia, Sondrio; dopo il trasferimento a Locorotondo, nella stessa scuola. Ma a scuola in realtà avevamo poche occasioni per collaborare: corsi diversi, classi diverse, niente viaggi d’istruzione insieme, non ci incontravamo neppure nelle riunioni di dipartimento. Solo occasionali incontri in corridoio, prima di entrare in classe, con qualche risata (anche se nelle nostre vite il più delle volte c’era ben poco da ridere) e poi: “Ehi, non ridiamo, devo andare in prima!”, un piccolo espediente per sopperire alla innata mancanza di severità.

Prima e più che colleghe siamo state amiche. Ci siamo conosciute sul finire degli anni ’50: noi bambine alla scuola media di Martina F. (io in 3°, lei in 2°), le nostre mamme entrambe salentine, mogli di carabinieri, forestiere a Locorotondo. Durante l’adolescenza il liceo: Liliana in classe con Rosanna Bagnardi, sua coetanea e carissima amica; alla fermata del pullman le chiacchiere, gli scherzi, le risate anche con i ragazzi, sempre nel candore con cui vivevamo in quegli anni. Ma per Liliana lo svago si fermava lì. Le passeggiate in villa con le amiche, la comitiva con i ragazzi (forse la prima nel nostro paese negli anni ’60), i balli in famiglia in alcune occasioni a lei non erano concessi. La rigida educazione familiare e la necessità di aiutare la mamma, già sofferente, le impedivano di vivere con un po’ di spensieratezza la sua età. Unica occasione d’incontro fuori dal contesto scolastico e per fare vita di gruppo, l’Azione Cattolica.

L’Università è stata provvidenziale per approfondire il nostro rapporto. Io dopo la maturità mi sono fermata un anno per problemi soprattutto economici, ma quell’anno, perso per la laurea e per il lavoro, mi ha fatto “guadagnare” un mondo nella mia vita affettiva. Cominciammo a condividere tutto: studio, libri, frequenza delle lezioni a Bari, ma anche il suo primo grande dolore, la morte della mamma. “Sei la mia Pasqua, figlia mia!”, le aveva detto poco tempo prima, e questo apprezzamento, non dappoco del resto, l’aveva compensata di tante fatiche e rinunce che aveva fatto e che avrebbe fatto ancora. Non trascurabile, infatti, il cambio di facoltà da Lettere Classiche, più impegnative per lo studio e per la frequenza, a Lettere Moderne. La sua vita continuò senza drammi e la nostra amicizia divenne sempre più bella. L’impegno quotidiano condiviso ci permetteva di cogliere le affinità del nostro carattere, dei valori nei quali credevamo. Qualche rarissima passeggiata in via Sparano a Bari, dopo le lezioni, ci lasciava stravolte non solo per la disabitudine a guardare le vetrine, ma anche e soprattutto per i prezzi da capogiro che comparivano accanto a capi di abbigliamento, scarpe, borse.

Le ristrettezze economiche nelle quali eravamo cresciute ci avevano educato alla sobrietà e, lungi dal desiderare ciò che non potevamo avere, riflettevamo piuttosto sull’ingiustizia che quei numeri evidenziavano. Sensibili ai problemi di tanti popoli dell’allora detto Terzo Mondo che lo sfruttamento coloniale aveva lasciato in estrema povertà, con Rosanna e le altre amiche del nostro gruppo (Liliana, in verità, marginalmente per mancanza di tempo) eravamo impegnate nell’associazione di volontariato “Mani Tese” con l’intento di dare un aiuto immediato, senza trascurare scelte politiche che, secondo noi, avrebbero contribuito a rimuovere le cause di tanto disagio…Contrarie al consumismo e alle spese inutili, anche tanti anni dopo ci divertivamo all’idea che, se tutti fossero stati come noi, tante attività avrebbero chiuso bottega.

Liliana mi raccontò un giorno di una telefonata ricevuta da un centro estetico che le proponeva non so quali trattamenti per il corpo, a cui prontamente aveva risposto con la sua solita autoironia: “Ma no, grazie, non ho proprio bisogno di niente! Ho una linea invidiabile!” Che bella che era Liliana, di quella bellezza che non tramonta mai! A entrambe piaceva cantare e spesso, quando in primavera studiavamo sul terrazzo di casa mia accompagnate dallo stridio e dallo sfrecciare delle rondini, cantavamo a due voci “Siamo la coppia più bella del mondo…”. E don Peppino Micoli, dal suo balcone che affacciava sulla Serra, si deliziava nell’ascoltare quell’esplosione di gioia e di armonia. Ma purtroppo, poco prima della laurea, Liliana perse anche il suo papà. Quel papà che puntualmente era venuto a prenderla alla stazione quando arrivavamo alle 10.00 di sera, quel papà che l’aveva amata e, a modo suo, protetta improvvisamente la lasciò.

Nel marzo del ’71 finalmente la laurea per entrambe e poi la nomina nella stessa provincia, prima lei a Chiavenna, poi io a Sondrio. Liliana si trovò subito a suo agio nel nuovo ambiente. Si affezionò molto alla sua padrona di casa, una dolce anziana signora che per lei era nonna Lina, con la quale, anche dopo il trasferimento, rimase in contatto finché non le giunse notizia della sua morte. Si trovò a dividere la stanza con una collega siciliana che nei primi tempi soffriva molto per la lontananza da casa, dalla sua isola. Lei, messinese, si sentiva oppressa dalle montagne che chiudevano la valle e che le stavano quasi addosso se si affacciava alla finestra. Ma per Liliana quelle montagne significavano aria da respirare a pieni polmoni, autonomia, realizzazione di sé. Si inserì senza difficoltà nella scuola e con la sua simpatia, preparazione, professionalità si fece apprezzare ed amare da alunni e colleghi. Fece amicizie a cui è rimasta legata per sempre. Fu un periodo sereno e gioioso quello di Chiavenna, forse il più bello della sua vita. Erano gli anni in cui Fabrizio De André esprimeva poeticamente nelle sue ballate la sua indignazione, interpretando anche la nostra, contro la guerra e l’ingiustizia, e per le “…vittime di questo mondo”; “Nei quartieri dove il sole del buon Dio non dà i suoi raggi, ha già troppi impegni per scaldar la gente d’altri paraggi…” Liliana amava queste canzoni e accompagnava il cantautore cantando a sua volta… “La chiamavano bocca di rosa…”.

E arrivò il trasferimento a Locorotondo, prima il mio per riunire la mia neonata famiglia, qualche anno dopo quello di Liliana; preoccupata per la salute del fratello Franco, peraltro sposato, non ce la faceva a restare lontana. Per me fu un dono del Cielo. Condividemmo gioie, difficoltà, dolori. Mi aiutò fattivamente, come una sorella, in ogni momento di necessità. I miei figli si divertivano tanto con lei, per loro ormai zia, che portava nel gioco allegria e creatività. Oltre a dare tanto alla scuola, dopo la perdita del fratello, si impegnò per alcuni anni nel volontariato e poi si dedicò maternamente ai suoi adorati nipoti e pronipoti.

Adesso è molto triste separarsi da lei, anche se a volte mi sorprendo a sorridere pensando a qualcuna delle sue uscite, a degli aneddoti che mi raccontava con la sua ironia…proprio come nelle nostre telefonate che, per quanto trattassero quasi sempre di difficoltà, problemi, dispiaceri, non si concludevano mai senza una risata.

Annamaria Palmisano

Comincio da qui, da dove Annamaria ha concluso il suo racconto: dalla risata fresca e luminosa di Liliana, che rischiarava anche le giornate più buie, in un percorso di vita spesso non facile. Il mio cammino con Liliana è cominciato alle Scuole Elementari, con una maestra innovativa e coraggiosa. E poi le Scuole Medie, con l’emozione di prendere da sole il pullman per Martina. Infine-inattesa- l’avventura di poter frequentare la terza media a Locorotondo, nella nuova scuola, in una piccola classe, dove Liliana ha continuato a brillare per le sue capacità, la sua prontezza, che sarebbe stata ancor più messa in rilievo negli anni del Liceo-Ginnasio Tito Livio. La sua capacità di traduttrice di latino e greco lasciava ammirati i professori, ed in classe faceva di lei una specie di mito. Studiavamo quasi sempre insieme il pomeriggio, le nostre case erano vicine e io percorrevo il piccolo tratto che ci separava. Liliana preferiva non lasciare sola la sua mamma, che, seduta accanto alla finestra, ogni tanto ci sorrideva,”all’opre femminili intenta”: all’antica tradizione del tombolo, per l’esattezza. Il ticchettio di quei legnetti accompagnava i lunghi pomeriggi di esercizi e traduzioni, come una musica di sottofondo. In seguito, quei preziosi disegni e quei giochi di luce sarebbero fioriti anche dalle mani di Liliana, a cui la mamma aveva saputo trasmettere la sua arte. E, infine, la preparazione agli esami di maturità, coi Canti di Leopardi alla luna, grande e luminosa, in quelle sere d’inizio estate, e “che speranze che cori” nutrivamo, insieme al Poeta. L’Università: non è stato facile frequentarla da pendolari. Tuttavia, quegli interminabili viaggi in treno erano colmati da chiacchiere, confidenze e risate. Solo qualche esame in comune tra la sua facoltà e la mia: lo studio insieme si era concluso, con gli esami di maturità, ma non l’affetto, la complicità, la sorellanza: di Annamaria e Liliana mi sono sempre considerata la terza sorella, per la differenza di pochi mesi, la minore.

Positivi gli anni di insegnamento al nord, poter assaporare un po’ di indipendenza, vivere la scuola negli anni di rinnovamento, con una attenzione ed una assoluta priorità data agli alunni e alunne, tra la lezione di don Milani e il MCE di Mario Lodi. Se in tanti hanno voluto ricordare Liliana, è soprattutto per il suo lavoro di straordinaria insegnante, in senso etimologico: fuori dall’ordinario. Ogni classe costituiva una nuova impresa, un nuovo percorso da sperimentare. E generazioni di ex alunni sono lì a testimoniarlo. Certo, ricordiamo, inoltre, il suo impegno culturale e nel volontariato. Ed è impossibile non citare la sua dedizione alla famiglia, come figlia e sorella devotissima…e –uso un termine che appartiene al mio “lessico famigliare”, creato da uno dei miei tanti cugini-come “Zia-Mamma”. Liliana è stata una grande zia-mamma per i suoi ragazzi, nipoti e pronipoti, attenta, affettuosa, generosa. La donna forte della Bibbia, descritta in Proverbi 31,3. Una roccia, capace di fronteggiare anche qualche tempesta, che mi ha, a volte, colpita. E non la ringrazierò mai abbastanza per averlo fatto.

Rosanna Bagnardi

La mia amica lavorava al tombolo e dal suono di questi legnetti venivano fuori disegni eleganti e giochi di luce. E ieri se ne è andata, ha rimosso il macigno e ha raggiunto, non senza fatica, la casa del Padre. Questa volta riesco a crederci e addirittura sono quasi convinta che ci rivedremo, e ricominceremo con le imitazioni dei professori. Lei che non aveva nulla da temere dalle interrogazioni o dalle versioni di latino, nemmeno da quelle di greco, in realtà. Armata dal suo Rocci, individuava la rotta giusta e quei segni antichi si traducevano in un italiano chiaro e semplice. E dovrei/potrei proseguire, ma ho bisogno di un angolo nascosto per legare stretti i ricordi di ogni giorno di un percorso comune. Non sono capace di lavorare al tombolo, se lo fossi verrebbe fuori un gran bel ricamo.

Rosanna Bagnardi

[Ricordi pubblicati sulla rivista Agorà, numero Maggio 2022]




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