In ricordo di Abramo
EDITORIALE
“La bottega di Abramo segna quel passaggio per quattro o cinque generazioni di bambini che si soffermavano di fronte alla sua vetrina”
di Antonio Lillo
Conosco molte persone che hanno ricevuto dal paese assai più di quanto abbiano mai dato. Nel caso di Abramo questo non è stato. Abruzzese di nascita, arrivato qui durante la guerra, sposatosi con Giustina della bottega di alimentari sul corso, ha adottato ed è stato adottato dalla cittadinanza, a cui ha dedicato la maggior parte della sua lunga vita in termini di impegno, lavoro, fede, idee, principi, passioni – dalla musica lirica all’amore per i presepi – e per cui ha incarnato il sogno ispirato dalla vetrina di quella bottega, quando la tramutò prima in ferramenta e poi in negozio di giocattoli.
Quei giocattoli erano il segno più concreto dei tempi che cambiavano, di una opulenza che arrivava finalmente a toccarci, nel passaggio di Locorotondo da una storia di povertà e fame – che ci condizionò fino a metà degli anni ’70 – a quella di una nuova improvvisa ricchezza successiva al boom economico, quando tutti cominciarono a godere migliori condizioni di vita e a sognare un futuro agiato per sé e per i propri figli.
La bottega di Abramo segna quel passaggio per quattro o cinque generazioni di bambini che si soffermavano di fronte alla sua vetrina, facendo vagare lo sguardo carico di desiderio su quel ben di dio fatto di giocattoli futuristici e dal richiamo irresistibile.
I colori aciduli di quelli scaffali, quelli più accesi o polverosi dei giocattoli accumulati negli anni fino a diventare pezzi di un puzzle dai sapori retrò, compongono la camera delle meraviglie di un sogno sopravvissuto al proprio tempo, sogno che proprio per questo diventa terribile e malinconico.
All’altro capo di quel sogno, c’è il lavoro fotografico di Silvestro Simeone, che si è soffermato, con sincera partecipazione emotiva, sull’ultimo periodo di quel negozio e del suo pifferaio magico, pochi mesi prima della sua definitiva chiusura, quando Giustina è ormai morta e Abramo è intenzionato, nonostante tutto, a ricominciare da capo, rimodernandone i locali, mai alterati per quasi un secolo.
È la fine del sogno, che si arrende alle mode che avanzano, ed è allo stesso tempo il ritratto di un uomo dalla fede incrollabile, in Dio e nel futuro, che ha costruito con le sue sole forze il proprio avvenire e che proietta in avanti quella determinazione, persino in vista della morte.
[Estratto dal testo di presentazione della mostra “Abramo” allestita a U Jùse dall’1 al 9 settembre 2018]
[Foto in evidenza e video di Silvestro Simeone]