Mimmo Minno custode della locorotondesità
L’INTERVISTA
Attraverso i suoi racconti e filmati, Mimmo ci tramanda una Locorotondo in un’epoca passata
di Palma Guarini
Come riscoprire le nostre origini e coloro che hanno fatto la storia a Locorotondo prima di noi?
Mimmo Minno, un custode della locorotondesità, ha pensato di raccogliere delle testimonianze e di conservarle per tramandarle alle generazioni che verranno. Abbiamo avuto il piacere di fare una chiacchierata con lui, chiedendogli come avesse iniziato a collezionare la Locorotondesità.
“Sin dagli anni 70- quando avevo 25 anni- io avevo una telecamerina. All’epoca si utilizzavano le vecchie cineprese super 8. Al primo stipendio possibile che è stato quello dell’assicurazione, comprai la cinepresa perché volevo filmare quello che mi piaceva: la campagna, la natura, il borgo antico. Mi piaceva uscire la domenica con la telecamera con la speranza di trovare qualcosa. Inconsapevolmente trovavo personaggi e luoghi. Ho cambiato circa 5 telecamere fino a possederne una professionale grazie alla vendita di una videocassetta del ’96 dedicata a Peppe ‘a Susine.
Peppe ‘a Susine faceva parte di quelle persone che si inventavano l’arte dell’arrangiarsi. Prima di lui si racconta di un certo Tetè, di nome Scatigna Giuseppe Domenico, morto nel ‘35. I fatti di Tetè a Locorotondo sono alla portata di tutti. Venivano creati da lui o dal suo amico, ‘u zupp di Ciafagn pur di raccogliere viveri e di mangiare.
Mentre Tetè ha aperto il filone dell’arte di arrangiarsi, Peppe ‘a Susine, l’ha chiusa.
Peppe ‘a Susine si è ritirato dalla Germania, perché è stato emigrante. Ha sentito la necessità di ritornare al suo paese natìo. Non c’era possibilità di trovare lavoro, faceva il facchino. Voleva essere un personaggio: si inventava i comizi, di fare il salto in banca. Era un artista di strada.
Negli anni 70-80, dopo cena uscivamo in villa proprio perché sapevamo di trovare lui e il suo amico Bertuccio e ci facevamo delle risate tremende per nulla. Io, grazie al filmato di Peppe, intitolato Mitici Locorotondesi, ho venduto tante videocassette da poter arrivare a farmi comprare una telecamera professionale, che non esisteva nemmeno a Bari, andai a Roma.
Quando è morto, il 22 Febbraio 1992, noi siamo rimasti dispiaciuti perché per noi era l’emblema di Locorotondo per i personaggi mitici.
Non era un barbone, era un artista di strada. Peppe girava e aveva un’agenda: ogni lunedì veniva alla mia polleria perché sapeva che gli avrei dato 2000 lire. Quando un giorno riuscì a prendere la pensione come invalido, andò a comprare un televisore a colori, una vespa a lui e al suo amico e sperperò tutti i denari. Un bel giorno mi trova davanti presso l’ex biblioteca, io uscivo con Massimo e Antonella, i miei figli. Portavo i bambini per mano e Peppe mi fermò volendo fare un regalino ai bambini. Prese dalla tasca 100.000 lire che all’epoca erano tantissimi con la giustificazione di voler ricambiare tutte le volte in cui io gli avevo dato dei soldi. Questo episodio lo racconto per descrivere come Peppe fosse una persona genuina e generosa.”
Quali sono gli altri personaggi che hai avuto modo di filmare e sono rimasti nl tuo cuore?
“Un altro personaggio, chiamato Alfredo Conte, che aveva un genero che era il proprietario di Sandrocolor, il fotografo vicino al Bar del Corso. Lui aveva dei modi di dire e di fare schietti, ma non volgari. Anche lui è presente sui Mitici Locorotondesi.
L’ultimo che ho fatto si riferisce ad Abramo di Sciullo, che aveva il negozio dei giocattoli sul corso. Lui venne a fare il soldato a Locorotondo, si innamorò di una signora di qui ed è rimasto. All’inizio vendeva quadri, ferramenta e poi il suo negozio si è trasformato in una giocattoleria. Abramo è morto questo 20 agosto all’età di 97 anni.”
Tu sei conosciuto anche per il tuo lavoro in polleria. Come hai iniziato?
“Io ho lavorato in assicurazione per 6 anni. Lasciai perché mi ero sposato e nel frattempo mia moglie era incinta di Antonella. Io provenivo da una famiglia di macellai: i genitori di mia moglie erano macellai e anche i suoi fratelli lo erano. Tra questi mi preme ricordare Nicola Martini che era veramente uno che sentiva la passione della cucina, è scomparso nel 2013.
Dalla mia parte c’era mia madre che aveva aperto la prima polleria a Locorotondo, nel 1969. Mio padre era un collaboratore di un cugino macellaio. Quindi tutta la stirpe derivava dalla vecchia tradizione della macelleria. C’erano tutti i presupposti di impostare una nuova polleria, pertanto nel 1977, anno di nascita di Antonella, abbiamo aperto la polleria che adesso si chiama Allerìa: il nome perché dicevano che facevo delle buone ali al forno e poi mi piaceva una canzone napoletana titolata Allerìa e da lì mio figlio, che ha deciso di proseguire con questa attività, l’ha chiamata così.”
Quali sono i tuoi progetti futuri?
“Il mio progetto è di raccontare la mia storia, la storia dei nostri anni con mio nipote, Vito Telesca.
Sto scrivendo un libro su tutta la storia di Locorotondo, partendo dalle origini del 1080. Sono arrivato a metà raccontando delle botteghe di allora, degli artigiani, per poter lasciare e tramandare ai posteri le tradizioni della Locorotondo di un’epoca lontana. Mi è un po’ più difficile metterlo per iscritto perché per me è un po’ più facile filmarlo.
Tra me e Vito c’è questo feeling per cui lui mi chiederà e io gli risponderò. Tutto questo sarà filmato.
Vorrei farlo per le nuove generazioni affinché possano comprendere la differenza di come vivevamo noi.”
Ringraziamo Mimmo per il suo impegno nel tramandare alle nuove generazioni le storie, il folklore e le tradizioni di Locorotondo non solo raccontandole, ma anche emozionando il suo pubblico.