Raccontare le tradizioni attraverso il gusto
L’INTERVISTA
Olimpia Agricola: storia del vino tra passato e progetti futuri
Novembre: la vendemmia è terminata da un pezzo e il mosto è diventato vino.
Non potevamo che inaugurare questa stagione con chi di vino se ne intende, e non poco: Donato Pinto e sua figlia Teresa, alle prese con la nuova apertura di Olimpia Agricola.
Donato ci racconta come nasce la sua azienda:
“Olimpia nasce nel 2007, con l’auspicio di mettere insieme le piccole coltivazioni e poderi sotto un soggetto giuridico. Anche il mio maestro, don Peppe, diceva che in Valle d’Itria c’è il problema della frammentazione della proprietà.
Dopo il 2014, con la chiusura della Cantina Sociale di Locorotondo, ho iniziato la mia produzione di vino: precisamente con la Verdeca e il rosso. Nel 2018 siamo giunti ad avere 9 referenze tra cui mi piace citare la dop Locorotondo storica – il Talinajo – , il Cummerse che è un altro vino della Cantina e il Susumaniello. Poi ci siamo sbizzarriti a fare altro come le confetture e i legumi. Il nostro modo di fare è quello di produrre e avere la capacità di vendere”.
Sei un grande conoscitore del vino. Come hai iniziato?
“Lo sono diventato zappando la vigna. La mia passione è nata nella terra, vera e propria. Ho visto tutte le fasi del vino.
Si beveva ‘u piet’: dopo la vendemmia era finito il vino, c’era un mese di transizione fino a San Martino (in cui il mosto diventava vino): si prendevano le vinacce, ci si buttava l’acqua sopra e veniva fuori un prodotto dolciastro. Si cominciava bevendo il vino bianco, ma a Gennaio-Febbraio era già finito. Così si passava al vino ‘pa scallatour’: base di vino bianco con l’aggiunta del famoso vincotto che serviva a sorreggere il bianco: diventava un vino rosato scuro, marronato. D’estate, infine, si beveva invece il vino rosso e, siccome faceva caldo, si aggiungeva la gazosa o l’aranciata.
Inizialmente il vino era un alimento, oggi è diventato è un companatico, grazie al miglioramento della trasformazione e della conservazione”.
Ci racconti gli esordi della tua carriera in Cantina?
“Ho iniziato nel 1978. Arrivai in cantina a 20 anni. Mi chiamò don Peppe perché era venuto a mancare Paolo Recchia e bisognava fare un lavoro di archiviazione di documenti. In un mese e mezzo finii e mi dovetti inventare qualcosa per rimanere in Cantina. Così andai da ‘u Frschtton’ e presi il libro delle pagine gialle.
Iniziai a fare un po’ di chiamate e il giorno dopo partii e girai mezza Puglia. Con un primo carico di bianco di Locorotondo cominciammo da Alberobello alle 4 e mezza del mattino e, passando da Castellana, arrivammo fino a Foggia. Fu così che si avviò la vendita del bianco di Locorotondo”.
Quindi la rete l’hai creata tu con un libro di pagine gialle.
“Proprio così. Poi l’epilogo della storia della Cantina lo conosciamo tutti…”.
Quali sono i tuoi progetti futuri?
“Ci siamo allargati a livello regionale, ma puntiamo ad espanderci anche a livello internazionale: siamo già in Germania, in Svizzera, in Asia e a breve cominceremo in America e Australia. La grande distribuzione però non ci interessa”.
Da quello che racconti traspare un grandissimo amore per il vino e una conoscenza quasi molecola per molecola. Qual è il vino che più ti rappresenta?
“Decisamente il dop Locorotondo: è per me la mia identità e le mie origini. Mi piace richiamare il territorio e proprio per questo il mio prossimo progetto è quello di prendere dei mezzi, almeno da 8 persone, e fare delle degustazioni col carrettino nel vigneto. I turisti vogliono questo oggi: noi abbiamo un territorio eccezionale, un’oasi ed è un onore poter condividere questo paesaggio con il mondo”.
Donato e Teresa ci hanno dimostrato ancora una volta come la passione per il nostro territorio porti a immaginare e realizzare delle realtà di successo.
Auguriamo loro un buon viaggio di scoperta e di riscoperta della tradizione, attraverso i racconti e il sapore del vino.
Palma Guarini e Ambrogio Giacovelli