Eccellenze tra gastronomia e beneficenza. Il progetto di Antonella Scatigna
L’INTERVISTA
Dalla nostra rivista. Il progetto “Mani unite per il Congo”, diventato oggi un’associazione grazie all’impegno e alla costanza di Antonella
di Palma Guarini
Unione tra eccellenza gastronomica pugliese e beneficenza: di chi parliamo questo mese? Di Antonella Scatigna, chef locorotondese de “La Taverna del Duca”, ristorante che gestisce da 20 anni con passione e dedizione.
Antonella dal 2010 si occupa della raccolta fondi per il progetto “Mani unite per il Congo”, portando di persona i proventi raccolti in Africa nei mesi di gennaio-febbraio quando chiude l’attività per le ferie.
Il progetto “Mani unite per il Congo”, diventato oggi un’associazione grazie all’impegno e alla costanza di Antonella, nasce come iniziativa di beneficenza per la realizzazione di interventi di scolarizzazione e autocostruzione nel villaggio dei Bambini dell’orfanotrofio “ALAMA YA KITUMAINI” (cioè segno di speranza) di Katana nella Repubblica Democratica del Congo.
Grazie ai proventi raccolti nel corso dei vari anni, è stato possibile aiutare materialmente i bambini dell’orfanotrofio di Katana attraverso la costruzione dell’aula magna, la realizzazione della cucina e di una porzione del muro di cinta, l’acquisto dei banchi e degli arredi per la scuola, nonché l’installazione delle finestre e degli infissi negli edifici principali dell’orfanotrofio.
Ciao Antonella! Come nasce questa dedizione al progetto di beneficenza “Mani unite per il Congo”?
“Nasce da un evento spiacevole della mia vita da cui ho voluto trarre qualcosa di positivo.
Io ho due motti: ‘1 è sempre più di 0’; ‘Niente è facile ma nulla è impossibile’. Da questi due motti ho deciso che il di più del mio lavoro e del mio tempo lo dedicherò a questi bambini.”
In questo progetto sei sola?
“Magari sono da sola a partire però dietro di me c’è tantissima gente che mi supporta.
Domenica 10 Dicembre a Villa Maria a Crispiano si è tenuto un evento con 270 persone, tutti pronti ad abbracciare questa causa. Eravamo 7 cuochi che si sono occupati di deliziare gli ospiti con i loro piatti e il ricavato sarà poi devoluto a questi bambini.”
Ti dedichi a questa causa sfruttando una tua passione, nonché il tuo mestiere. Come hai iniziato a svolgere questa professione?
“Faccio questo mestiere perché mi è sempre piaciuto cucinare. Ho saputo fare della mia passione un lavoro perché in realtà è nata come una necessità. L’ho fatto cimentandomi, chiedendo consigli, documentandomi. Dopo 20 anni posso dire che ho un bel lavoro, mi piace, mi dà tante soddisfazioni e la cosa più importante è che questo lavoro mi permette di aiutare qualcuno più sfortunato di me.”
Descriviti in tre aggettivi:
“Mi descriverei altruista, lunatica e solare.”
Quando pensi alle persone di cui ti circondi al tuo fianco, sia nel lavoro che nella beneficenza, di chi ti circondi?
“Di persone disposte a camminare accanto a me: ho trovato tante persone che mi hanno sbattuto le porte in faccia così come tante altre che mi seguono ormai da 7 anni in questo mio progetto.”
Cosa senti e cosa provi quando sei in Congo?
“Ogni volta che parto ho sempre molta paura di non poter più tornare ma è comunque forte la voglia di tornare da questi bambini. È vero che parto da sola ma ho la sensazione di essere sempre accompagnata da qualcuno.
Così come quando sono qui e ho amici che mi aiutano nella realizzazione degli eventi. Devo infatti ringraziare tutte le persone che dietro le tende, in sordina, mi danno una mano.
Una particolare menzione va ad Erika Conserva, la padrona di casa che ci ospita da 6 anni, Mino Maggi, Gianfranco Palmisano, Daniele Convertini, Pasquale Fatalino e Chiara de Nicola, tutti i 6 chef che mi hanno aiutato nell’evento di domenica. Tra noi c’è un clima di complicità, festoso, con lo scopo di portare a casa soldi da donare ai bambini.”
Dall’Italia al Congo, questa storia ci ricorda come essere un’eccellenza localeè a volte una semplice questione di cuore.
Clicca qui per prendere visione dell’articolo “Antonella Scatigna – Il cibo, l’Africa ed io”
[Intervista pubblicata sulla Rivista Agorà, numero Dicembre 2017]