Intervista a Pino Incredix, designer
ECCELLENZE LOCALI
“Risolvere i problemi con la bellezza”
di Palma Guarini
In una natura fresca silenziosa, tra la fierezza del bello e la passione per la materia, prende forma il lavoro di un nostro conterraneo con i suoi oggetti, arredi e luci. Scopriamo insieme di chi stiamo parlando…
Pino Giacovelli, designer-autoproduttore, creatore del marchio INCREDIX. Si occupa di interior-design, di progettazione di locali e negozi e lo fa in un modo tanto originale quanto legato alla tradizione. Memori di uno dei suoi recentissimi lavori, la Light Art Installation Legàmi by Incredix Goodlab sui tetti del complesso museale Sant’Anna, oggi ve lo raccontiamo attraverso le sue stesse parole, piuttosto che le sue opere.
Raccontaci di cosa ti occupi.
“Io sono un designer-autoproduttore nel senso che progetto e autoproduco oggetti, arredi, luci. Mi occupo di interior-design, cioè la progettazione di locali e negozi. Mi piace realizzare oggetti che siano un pensiero, che magari diano un’emozione”.
Come hai iniziato a svolgere questo mestiere?
“In realtà fino al quarto superiore ero un secchione in matematica, infatti sono un perito elettronico. Dopo è scoppiata la mia vena artistica. Ho dovuto rivoluzionare tutti i miei canoni, tutta la mia formazione e spesso mi sono sentito inadeguato. Adesso sono più di 20 anni che faccio questo nella vita”.
“Questa passione nasce nell’adolescenza quando cominciavo a realizzare diari con copertine di cartone di riciclo e fogli realizzati con la carta marrone usata per incartare i panini. Poi si è evoluta in varie direzioni”.
Cosa preferisci nella tua professione?
“L’atto creativo, cioè quando sono in laboratorio e lavoro con le mani, quando mi metto a realizzare e rendere visibile quello che ho nella testa”.
Come hai imparato a lavorare il materiale?
“Sono un autodidatta, ho dovuto imparare tutto da solo seguendo le mie aspirazioni, le cose che mi piacevano. Ho avuto un maestro in uno studio di grafica che mi ha aperto la mente, mi ha fatto vedere la possibilità di creare cose nuove ed esprimermi in maniera diversa. Mi ha dato fiducia, semplicemente”.
Quali sono i tuoi materiali preferiti?
“I miei materiali preferiti sono la luce e la resina. La luce è un non materiale molto effimero che adesso c’è ma basta premere un interruttore e non c’è più: forse mi ricorda una sensazione che dura un attimo o un’immagine che passa davanti ai nostri occhi. La resina, invece, perché a differenza di altri materiali non ha formati, colori, spessori predefiniti ma mi arriva liquida, trasparente come l’acqua quindi posso plasmarla e modellarla. Ad ogni modo la mia passione è la materia: mi piace manipolarla, trattarla e forse anche maltrattarla per farle generare nuove dimensioni”.
A cosa ti ispiri nei tuoi lavori?
“L’ispirazione può venire da tante cose: da una passeggiata nel bosco, dalla parola di un libro o da una poesia o semplicemente da una chiacchera con un amico”.
Quale valore aggiunto ha la tua arte in un paese come Locorotondo?
“Non so se do un valore aggiunto al mio territorio. Sicuramente il mio paese sia con i lati positivi sia con i lati negativi è una forza naturale per il mio lavoro. Il mio punto di forza o il mio motore è la mia visione diversa delle cose: vedere quello che mi circonda da varie angolazioni e cercare di uscire dal modo comune”.
In un periodo storico in cui tutto è così facilmente reperibile, qual è il valore dell’arte fatta a mano e perché, secondo te, la gente apprezza i tuoi lavori?
“Io vendo me stesso, le mie storie. Le persone che mi conoscono iniziano a capire che, anche dietro una lampada, c’è un lavoro, c’è una storia da raccontare, c’è un mio episodio di vita, c’è una relazione finita, un amico che si è allontanato. Soprattutto quando si lavora per commissione, io devo cercare di farmi raccontare dalla persona quello che vorrebbe e trasformare il suo pensiero in 3D. Quasi sempre è così. Questo per me è il mio lavoro, è il lavoro del designer. La maggior parte del prodotto non è altro che l’espressione di un pensiero. Poi la mia fortuna è che il mio lavoro corrisponde alla mia passione. Forse quello che mi spinge a creare è quel desiderio interiore di stupirmi e di stupire e magari riuscire a trasmettere emozioni”.
Quali sono i tuoi motti?
“Sono due ‘licenza materica’ e ‘risolvere i problemi con la bellezza’”.
A proposito di questo, cos’è per te la bellezza?
“La bellezza è prima di tutto una cosa molto personale, ma è soprattutto un’energia che possiamo sentire guardando una persona o un oggetto”.
Quali emozioni provi quando completi un tuo lavoro?
“Prima provavo completa pienezza perché credevo che completare l’opera fosse il massimo che si poteva ottenere. Poi continuando a studiare Buddhismo ho scoperto che esistono 10 stati vitali. I più alti sono lo stato vitale di studi, quindi quando l’artista sta progettando, studiando, immaginando, e la parziale illuminazione: prima del profeta che noi seguiamo, si diceva che le persone che erano in questi stati vitali (artisti, ricercatori, studiosi) non potevano ottenere l’illuminazione perché l’artista sperimentava già il massimo della felicità durante il completamento dell’opera. Dopo ho scoperto che esiste un altro stato vitale più alto: quando una persona decide di dare qualcosa agli altri. Nel mondo creativo ho fatto questa scoperta ed è questa emozione che mi accompagna nei miei lavori. Ricordo quando venne a mangiare un mio amico a casa e avevo tutte le mie opere, sebbene ancora non le vendessi. Facevo altri lavori e lui mi disse ‘Sei veramente un egoista! Perché tu crei queste cose, sono bellissime, ma le tieni per te’. Quindi il massimo della soddisfazione è quello di esporle agli altri, con il rischio e la paura di sentirsi nudi in mezzo alla piazza, di essere giudicato. Ma anche la possibilità di offrire agli altri, e poi automaticamente arriva una maggiore soddisfazione. Per me prima la soddisfazione principale era solo nel laboratorio, però adesso so che c’è di più.”
Quali sono i tuoi prossimi progetti?
“Tanti e un po’ in giro, tutti accomunati dall’idea di cercare il più possibile di raccontare nuove storie e magari avvicinarmi sempre di più alla poesia”.
Pino ci trasmette emozioni anche con le sue parole. La sua arte di fare storytelling attraverso le luci, utilizzando i piccoli oggetti quotidiani o i materiali più rari, ci ha affascinati tanto da voler conoscere il suo mondo. A seguito di quest’intervista abbiamo ritrovato un animo appassionato e genuino che lo guida nelle scelte dei lavori che propone al pubblico.
Quale la sua chiave di successo? La capacità di pensare al concetto di arte e bellezza e tramutarla in materiale vivo. Potrete ammirare su queste pagine qualche suo lavoro. Vi auguriamo di rimanerne affascinati!