Virtus Locorotondo: una straordinaria avventura

MEMORIA DEL NOVECENTO

A Ostuni vinciamo il primo campionato giocando quasi sempre in meno di undici. Tra i regolari, Dino Bagordo in porta, Angelo De Fuoco, Abelino, Paolo “Porsiello”, Leonardo Caforio, Vittorio De Michele, Giuliano L’Abbate, Angelo Rizzi, Migueldetto anche “l’Arsgean”

 

di Mario Gianfrate

 

Sono trascorsi più di vent’anni,* eppure sembra ieri. Tanti ne sono passati da quel giorno quando, venduti i libri di scuola, compresi quelli dell’anno in corso, per acquistare una serie di magliette da calcio di colore verdino, demmo inizio alla straordinaria avventura della Virtus.

E a una pronosticabile rimandatura in matematica, con la quale il già precario rapporto di cordiale antipatia si era definitivamente deteriorato.

Tempi di pionieri, quelli! Dovevamo comprarci per proprio conto gli indumenti necessari, pagarci quota d’iscrizione al campionato e il biglietto ferroviario per la trasferta.

A Ostuni vinciamo il primo campionato giocando quasi sempre in meno di undici. Tra i regolari, Dino Bagordo in porta, Angelo De Fuoco, Abelino, Paolo “Porsiello”, Leonardo Caforio, Vittorio De Michele, Giuliano L’Abbate, Angelo Rizzi, Migueldetto anche “l’Arsgean”, l’argentino. E’, infatti, lo straniero della squadra. Fa il suo esordio anche il piccolo Orazio Pastore, e l’esordio lo fa, in un certo senso, anche Paolo Giannoccari, generoso dirigente accompagnatore, massaggiatore e, all’occorrenza, centravanti. E, infine, Angelo Cardone, “Pisciacchio”.

L’ultima volta che ho rivisto Angelo è stato per una circostanza dolorosa: la morte della madre.

Ho chiesto ad Angelo quanti anni avesse. “Settanta” mi ha risposto. “Beh, era abbastanza grande” aggiungo così, ingenuamente, più per confortarlo in qualche modo. E allora, nella sua spontaneità e nella sua semplicità, mi dice una cosa stupenda: “Una mamma non ha età”.

Adesso non ha più motivo di ritornare quaggiù. Gli pare che Locorotondo non sia più il paese di una volta. C’è qualcosa d’indecifrabile, di sfuggevole in quelle parole.

Risaliamo silenziosi lo stradone sul quale scende, sempre più fitta, nebbia appiccicaticcia portata dallo scirocco. Scambiamo ancora con nostalgia – e con qualche malinconia – schegge di ricordi. Pian piano il parlare diventa distratto, ognuno insegue le proprie astrazioni. Anche dentro di noi c’è molta nebbia.

Quanto tragico profeta di te stesso fosti, Angelo. Non saresti davvero tornato al tuo paese. Né da vivo, né da morto.

Vuoi sapere di Miguel, l’italo-argentino al quale, in un momento di euforia, per gioco, azzannasti un piede? Lui ha appeso le scarpe da tanto tempo. Avrebbe dovuto farlo molto, molto tempo prima. Te lo immagini quando, ormai vecchio e canuto, con voce tremolante e commossa racconterà ai nipotini le imprese compiute in gioventù e dirà di quando surclassava Maradona e veniva considerato il terrore delle difese avversarie?

Ci sarà da ridere, Angelo; ci sarà da ridere come quando, felici, giocavamo agli indiani, in un susseguirsi di inseguimenti e sparatorie. Ricordi? Ti piaceva fare la parte dell’indiano, depredato e massacrato da spietati cow-boys o da soldati blu, perché a te più congeniale, per la tua generosità e per la tua incapacità di fare del male. E come nei desideri di un indiano, ti immagino felice, cavalcare “nei verdi pascoli del cielo”.

(da “Sogno di un aquilone”)

*Oggi cinquanta…

Nella foto: Mario Gianfrate (all.), Vittorio De Michele, Dino Bagordo, Angelo De Fuoco, Angelo Cardone, Paolo Giannoccari, Leonardo Caforio. Seduti: Paolo Argese, Angelo Rizzi, Abelino D’Onofrio, Giuliano L’Abate.







 

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