Fra’ Giuseppe Andrea Rodio, una vita da peregrino la sua
STORIA
Giuseppe Andrea Rodio nato a Locorotondo il 30 novembre del 1743. La morte avvenuta il 10 gennaio 1819
di Mario Gianfrate
Giuseppe Andrea Rodio nasce a Locorotondo il 30 novembre del 1743, da una povera famiglia di contadini.
La sua vita sembra già segnata da un destino non dissimile da quello gramo e faticoso del padre, dedito ai lavori della terra.
Appena ragazzo, come tanti suoi coetanei, fa il pastorello conducendo il gregge al pascolo, e poi il bifolco. Ma ha tanta volontà di apprendere.
Un suo compagno, un po’ più grandicello, gli insegna sette lettere tra vocali e consonanti e, da solo, attraverso questo unico strumento di conoscenza, impara a leggere e a scrivere “componendo a lettera a lettera le parole – come lui stesso racconterà anni dopo – senza sillabare, senza cognizione di tutto l’alfabeto”.
Ma “le vie della Provvidenza sono infinite”, verrebbe da esclamare a proposito di questo ragazzo, piuttosto bassino, che avverte crescere dentro di se, la chiamata del Signore, la vocazione sacerdotale, e che a ventuno anni lo porta a Gallipoli a studiare nel convento dei Padri Riformati di San Francesco e dove può vestire finalmente l’abito monastico.
Di qui è la volta di Brindisi e poi di Taranto.
Scalzo – e per le strade del tempo non era di certo agevole e comodo intraprendere un lungo cammino – si reca prima a Roma, poi a Loreto, quindi fa ritorno a Taranto e di qui viene mandato a Bitonto nel Convento di quella cittadina.
E’ ormai una vita da peregrino la sua, che lo riporta a Roma nell’Anno Santo 1775, nuovamente alla Casa di Loreto, fino a mettere in pratica il progettato viaggio a Compostela che inizia in condizioni particolarmente disagiate.
Attraversa la Francia tra disavventure e pericoli di ogni genere, vivendo di elemosine.
Raggiunge, infine, la Spagna dove può concretizzare la sua grande aspirazione: visitare il Santuario dell’Apostolo Giacomo a Compostela, appunto.
Di ritorno a Roma, incontra Giuseppe Benedetto Labre, il santo peregrino francese, al quale confida il suo proposito di condurre vita eremitica.
Consigliato dal santo, si ritira nella Grotta Santa di Maria SS.ma ad Rupes, in Castel Sant’Elia, presso Viterbo, laddove è nominato custode del Santuario da Monsignor Filippo Mornati, Vescovo di Nepi e Sutri.
La solitudine e una vita di stenti, sono riempite dalla completa dedizione al culto della Madonna. Dà una prima sistemazione alla Grotta e, per favorire l’afflusso dei pellegrini, comincia a scavare nella roccia viva una scala per rendere agevole l’accesso alla Grotta Santa.
E’ un lavoro estenuante, immane, quello a cui si sottopone, ma che il frate, servendosi del solo piccone, porta a termine dopo ben quattordici anni di inenarrabile fatica, ricavando 144 gradini che consentiranno ai fedeli di raggiungere la Grotta.
E così, quel solitario luogo, diviene meta di culto dei Castellesi e dei Nepetini che, alla morte di Giuseppe Andrea Rodio avvenuta il 10 gennaio del 1819, nelle loro preghiere, chiedono l’intercessione dell’umile frate pugliese per ottenere grazie.
Una biografia esauriente sull’ardua impresa e nella quale vengono anche citate alcune grazie ricevute dai fedeli, è stata scritta dal confessore di Fra’ Giuseppe Andrea Rodio, don Angel’Antonio Montagna, ed è custodita entro l’Eremo “ad Rupes” di Castel Sant’Elia.
[Fonte ed immagine da Memoria del Novecento]