Presentato il film Unsigned di Domenico Maffei, storia di Donne Senza Nome
CINEMA
Intervista al regista locorotondese Domenico Maffei: «L’arte può aiutare a superare le nostre paure»
di Orazio Perillo
È stato presentato in anteprima lo scorso 28 dicembre presso l’Auditorium Comunale di Locorotondo, “Unsigned, Donne Senza Nome”, short dance film interpretato dalla ballerina e coreografa Roberta Ceppaglia e diretto dal regista locorotondese Domenico Maffei. Una storia struggente quella rappresentata, che ha riprodotto con un linguaggio originale ed innovativo, quale quello della danza, la storia delle cosiddette “Indesiderabili”, donne che hanno subito l’internamento nella Casa Rossa di Alberobello dal 1947. Il film, ispirato liberamente alla produzione “Donne Senza Nome” del regista Geza Von Radványi”, ha voluto rappresentare attraverso un linguaggio coreutico i vari stadi di un percorso, di un’identità trafugata, scavando nella parte interiore delle protagoniste. Regista di “Unsigned”, come detto, il locorotondese Domenico Maffei, con il quale abbiamo voluto fare una chiacchierata per conoscere meglio la sua creazione ed il suo percorso artistico.
Domenico, innanzitutto ti ringraziamo per la disponibilità. Partiamo dagli inizi della tua esperienza: come nasce la passione per la cinematografia?
«È nata sin da piccolo una certa curiosità per questo mondo, guardando i film. Mi sono chiesto molte volte in che modo avrei potuto realizzarne uno tutto mio. Ed ad un certo punto ho deciso di iniziare a studiare da autodidatta, leggendo riviste e poi frequentando corsi di cimenatografica che mi hanno fatto apprendere nuove tecniche, affinate negli anni e adottate nelle varie opere che ho prodotto».
A proposito delle tue produzioni, ce ne ricordi alcune?
«La prima, a cui sono particolarmente affezionato, è “Timeless”, dance film dedicato ad un mio caro amico scomparso prematuramente, che ha ottenuto una menzione speciale nel 2017 al concorso “Valle d’Itria Corto Festival”. Poi, ho prodotto anche “Particle” nel 2018 e “Whormole” nel 2021. A queste si aggiungono le partecipazioni a diversi videoclip musicali, fra cui voglio citare la collaborazione con il rapper Irush».
Parlando di generi cinematografici, i lavori che hai proposto sono dance film, in cui ad unirsi sono due espressioni artistiche come la danza e la musica…
«Si tratta di un genere molto più famoso all’estero che qui in Italia. La danza è un’altra delle mie passioni, non a caso a 15 anni decisi di iscrivermi alla scuola “Arte Danza” di Aurelia Semeraro. Questa scelta mi ha consentito non soltanto di coltivare una passione, ma anche di studiare e confrontarmi con grandi artisti. Tutto ciò mi ha poi aiutato a sviluppare anche l’altra, quella per il cinema».
C’è un film o una produzione da cui tutto è partito, la cui visione ti ha motivato ad intraprendere questo percorso?
«Ricordo che il film “Pina” del regista Wim Wenders è stato una vera e propria fonte di ispirazione e motivazione. Conoscere il percorso della grande Pina Bausch, cultrice della danza contemporanea e di cui il film ne celebra le gesta, è stato per me fondamentale. L’idea di rappresentare scene viste in teatro in contesti urbani, dove non si immagina di vedere ballerini, mi ha fatto accrescere quella curiosità e la voglia di esprimermi usando il linguaggio della danza nel raccontare una storia».
Tornando alle tue produzioni che, come detto, richiamano diverse forme artistiche, da dove parte l’ispirazione?
«Parto dalla musica, dalle sensazioni che mi trasmette e succcessivamente vado ad individuare le location. Mi piace molto valorizzare ed esaltare la bellezza dei luoghi e qui in Puglia devo dire che ce ne sono davvero di interessanti. Il lavoro più importante, però, è quello di rendere il tutto uniforme: la musica, il luogo, il ballo ed i suoi interpreti, anche in base al tema del film. Non definisco tutto all’estremo ma lascio sempre quel margine di imprevedibilità, di sperimentazione che poi si sviluppa ogni volta che si va a girare sul set».
Parliamo di “Unsigned”, un film che ripercorre una storia di vera ed autentica sofferenza come quella delle donne invisibili che hanno abitato la Casa Rossa di Alberobello. Come mai hai scelto questo tema?
«Diciamo che dopo il periodo più buio della pandemia, nel 2020, avevo voglia di mettermi in gioco anche con temi forti come quello rappresentato in “Unsigned”. Non conoscevo la storia di queste donne ma sono rimasto impressionato da un’immagine della Casa Rossa che ho visionato sul web, in cui era rappresentata una scala che andava a terminare su un muro di colore rosso acceso. Parlandone con Roberta Ceppaglia, la grandissima interprete del film, abbiamo approfondito la storia legata a quella struttura e contattato il delegato della Fondazione Casa Rossa Carlo Palmisano».
Immagino che ci sia stata una collaborazione massima con la Fondazione…
«Si, ringrazio oltre a Palmisano anche il presidente Fabio Macaluso che ha voluto fortemente esserci all’anteprima. Da parte loro abbiamo riscontrato fin da subito la massima disponibilità, lasciandoci carta bianca. Tornando al tema del fim, una volta conosciuta la storia di queste donne con la visione di “Donne Senza Nome” di Geza Von Radványi, ci siamo posti come obiettivo quello di creare un qualcosa che rappresentasse i luoghi e lo stato emozionale della storia attraverso i movimenti del corpo e, dopo aver selezionato le location più adatte, siamo partiti per sviluppare un laboratorio coreografico».
Hai parlato di Roberta Ceppaglia, la splendida ballerina e coreografa protagonista di questo film. Quali altri artisti hanno partecipato alla produzione?
«Con Roberta vi è un rapporto consolidato. Ci siamo conosciuti in occasione dei 40 anni del Festival della Valle d’Itria e da lì abbiamo avviato una serie di collaborazioni, fra cui anche quelle con la Fondazione Paolo Grassi. Voglio ricordare l’importante contributo realizzato da Anna Agrusti, una grande fotografa che riesce sempre a rappresentare al meglio con la sua arte le emozioni che voglio far emergere e Anna Taddonio, che è la splendida voce narrante le storie interpretate da Roberta Ceppaglia».
Ritornando alla storia raccontata da “Unsigned”, qual è il messaggio di questa produzione e a chi lo si è voluto lanciare?
«Il film vuole indurre alla riflessione sul ruolo che le donne hanno avuto e continuano ad avere nella società, sulle difficoltà ed i pregiudizi che ancora oggi sono costrette a subire. Penso ad esempio alle sofferenze delle donne in Iran e alle loro lotte. Ho poi voluto esaltare quella che è una delle più grandi qualità del genere femminile, la sensibilità. Parlerei comunque di un messaggio universale, non riferibile soltanto ad una categoria o ad un genere, ma rappresentativo di uno stato di sofferenza che ognuno di noi ha potuto o potrebbe affrontare».
Ogni produzione è il frutto anche di un lavoro introspettivo e immagino che questo film lo sia stato anche per te. Ti sei mai sentito nella vita “unsigned”, indesiderabile come le protagoniste di questa storia?
«Si, lo posso dire senza timori. È una tematica che ho affrontato anche perché l’ho sentita particolarmente vicina, con sensazioni provate nel mio percorso di vita. Non faccio mistero di aver subito bullismo da piccolo e questo mi ha motivato ancor di più a trattare questa storia».
Possiamo dire che le passioni per la danza ed il cinema ti hanno aiutato a superare momenti o episodi che comunque lasciano il segno per sempre?
«Certo, sono state fondamentali. Coltivando queste passioni ho concentrato tutte le energie per una finalità positiva che mi ha portato a realizzare questi lavori. Posso dire con certezza che sono stato maggiormente compreso utilizzando il linguaggio artistico che quello classico, fatto di parole spesso rimaste inascoltate. Il messaggio che nel mio piccolo vorrei lanciare è di concentrare tutte le proprie energie per superare le paure, focalizzandosi sulle proprie passioni ed i propri interessi, in una sorta di continua evoluzione. Come quella rappresentata in “Unsigned”, con la protagonista che all’inizio sembra molto chiusa, impaurita, ma che poi riesce ad emergere: le braccia rivolte verso il cielo della scena finale vogliono dare un segnale di speranza e direi di perseveranza su quanto sia importante concentrare tutte le proprie forze per superare le barriere, le strutture create nella società o presenti nel contesto in cui si vive».
In conclusione, Domenico, quali progetti hai per il futuro?
«Sicuramente ci sarà l’opportunità di presentare “Unsigned” anche in altre città, penso ad Alberobello, nella quale ha sede la Casa Rossa. Poi, continuerò ad unire in un unico linguaggio queste due passioni, danza e cinematografica, per nuove produzioni, magari da presentare all’attenzione di nuovi Festival».
Segui Domenico Maffei su Instagram “domenico_maffei_filmmaker”[Intervista pubblicata sulla rivista Agorà, numero Gennaio 2023]